René Magritte. Les Valeurs Personelles (I valori personali)
René Magritte. Les valeurs personelles. 1952. Olio su tela, cm 80 x 100. San Francisco, Museum of Modern Art.
“La mia pittura consiste in immagini sconosciute di ciò che è noto”, ha detto Magritte.
A volte basta poco per rendere sconosciuto un oggetto familiare, lo si può ad esempio spostare dal suo contesto abituale, spogliarlo di una caratteristica che gli è connaturata (come il peso di una pietra nel caso del “Castello dei Pirenei”) o conferirgliene una che gli è estranea; o ancora più semplicemente, si può ingrandirlo o rimpicciolirlo, come il caso di questo quadro.
I valori personali sono oggetti così quotidiani che difficilmente ne notiamo l’esistenza. Qui le loro dimensioni sembrano però sottolineare la falsità di questa indifferenza, perché in realtà questi oggetti ci dominano, a tal punto che non possiamo farne a meno. In quest’opera è rappresentata una stanza, all’interno della quale troviamo oggetti che fanno parte della nostra quotidianità: un pettine, un fiammifero, un bicchiere ed un pennello da barba; verso questi oggetti, talmente tanto familiari e consueti, il nostro più comune sentimento è l’indifferenza, ma il pittore belga aumentando le loro dimensioni ha voluto ricordare il dominio che esercitano su di noi, quasi arrivando al punto di considerarle indispensabili per la nostra stessa sopravvivenza.
Questi quattro oggetti per Magritte definiscono il perfetto borghese, condizionano la sua vita e ne delimitano gli orizzonti.
Infine quest’opera risulta essere un omaggio funzionale, ossia teso a conferire normalità ad un’immagine impossibile.
Questo dipinto ci fa riflettere anche sulle nostre attuali abitudini e sul modo in cui utilizziamo i nostri “oggetti” quotidiani, come ad esempio un cellulare, un computer o una chiavetta usb; proviamo a pensare per un attimo a come sarebbe la nostra vita oggi senza questi “strumenti”, incomprensibile. Questi oggetti assumono nella nostra mente dimensioni esagerate, enormi, e spesso occludono i nostri orizzonti, le nostre personali capacità, come se non potessimo fare più nulla senza di loro.
Edward Hopper. Nighthawks
Edward Hopper. Nighthawks ( Nottambuli) 1942.
Olio su tela 76,2x144cm. Art Institute of Chicago.
Nghthawks è il capolavoro di Edward Hopper, probabilmente il suo quadro più conosciuto e riprodotto. Lo stesso autore amava molto questo dipinto, a cui era stato ispirato da un ristorante all’incrocio di due vie del Greenwich Village a New York. In un’intervista Hopper dichiarò che probabilmente, il quadro era il suo modo di pensare alla notte : “Solitaria e vuota?” chiese l’intervistatrice, “Non mi sembra particolarmente solitaria. Ho semplificato molto la scena ed ho ingrandito il ristorante. Probabilmente inconsciamente ho dipinto la solitudine di una grande città”, aggiunse l’artista.
Il dato immediatamente evidente è il gioco dei colori nella fredda luce artificiale del neon che inonda il locale.
Il tema più evidente del dipinto è probabilmente il fascino della notte…la cui oscurità è rischiarata dal neon del bar che proietta la sua luce, attraverso la grande vetrata, negli interni dei vicini negozi chiusi.
La posizione angolare del locale permette uno sguardo dall’esterno all’interno e poi di nuovo all’esterno; l’ampia vetrata apre la visione al suo interno e ci permette di cogliere interamente la scena, “interpretata” da quattro personaggi: il barman che serve gli ultimi tre clienti, un uomo solitario visto di spalle e una coppia chiusa in un apparente mutismo.
In Nighthawks il vetro è un elemento dominante. Malgrado la trasparenza, esso divide; unisce in senso ottico e nello stesso tempo separa. Le pareti infatti, formate esclusivamente di vetro e interrotte solo da sottili montanti, permettono di confondere fra loro l’interno e l’esterno di un edificio, quasi fino a renderli indistinguibili.
Il ristorante è messo in scena con un evidente amore per il dettaglio: i contenitori del sale e del pepe, il distributore di tovagliolini, le tazze, le macchine del caffè: tutto è mostrato con estrema precisione e in pieno stile hopperiano non c’è azione ma solo una situazione, una ripresa istantanea.
Le persone sono completamente isolate: rispetto all’esterno, ma anche all’interno, dove nella sua gabbia di vetro le persone non entrano in comunicazione. All’interno del bar ci sono infatti “3 situazioni” : il Barman, la coppia e il signore seduto di spalle, tutte riunite nello stesso locale ma isolate, assorte nei loro pensieri o nelle loro solitudini. Quindi, visto che le strade fuori dal locale sono deserte, la solitudine qui rappresentata è sia interna, che esterna .
L’osservatore è invitato così a guardare nell’intimità di uno spazio interno, attraverso la grande vetrata di questo bar come se stesse guardando dentro un acquario, momenti di vita qualsiasi, quotidiani, tutti uguali e anonimi e viene contemporaneamente condotto verso un processo di introspezione psicologica che capovolge lo sguardo dalla superficie del dipinto verso la propria interiorità.
Nelle sue opere, Hopper ha sempre saputo cogliere un momento particolare, il preciso secondo in cui il tempo si ferma, dando all’attimo un significato eterno, universale e al quadro una dimensione onirica sospesa nel tempo.
In questo quadro, come in ogni sogno, siamo “spettatori” di noi stessi, guardiamo nella nostra interiorità e in Nighthawks Hopper ci fa vedere la solitudine dell’uomo, una solitudine incomunicabile, mascherata dalle artificiosità delle luci di una grande metropoli. Solitudine e luce artificiale … è come se l’autore avesse voluto rappresentare le due realtà di una grande metropoli, una città ricca di luci artificiali create forse per coprire una grande solitudine interna ed esterna. Spesso infatti, in una grande città ci si può sentire molto soli, come i personaggi di questo dipinto, i cui corpi sono divisi solo da pochi centimetri ma le loro menti e le loro vite sembrano lontane anni luce.